E’ Aurelio Bulzatti a chiudere questo libro. E a chiuderlo come una rilevannza assoluta delle forme, come una loro fissazione nell’ assoluto dello spazio. Figure tolte dal tempo, lasciate distanti dallo scorrere delle cose, bloccate nel respiro, nell’idea del vedere, mentre anche il tempo della visione si blocca. Perché questo non è tempo rallentato, ma uscita dal tempo, dal suo potere, dall’incidenza delle sue spine. Così come sono certe periferie costruite con il colore della notte, grandi scatole di cartone vuote di stanze, viventi solo dello straniamento, del dissolvimento della vita e della sua nuova consistenza. Ha Bulzatti questo potere di riscrivere l’immagine, di immetterla nell’invariata striatura del cielo, l’elemento di natura che con maggiore frequenza compare. Sparso di stelle, fisso come lo sono le donne nel gesto dell’ attesa, nell’abbraccio, nel momento del bacio, nell’istante infinito della partenza, dell’abbandono. C’è, in questa dolcezza estenuata, continuamente protratta, il gusto per un’analisi delle forme; e non soltanto delle forme sensibili, ma anche del pensiero, del sogno, della previsione allarmata, del destino. 

Ma la la vita scorre lontana, fuori della finestra attraversata dalle stelle, come se la pittura procedesse su un doppio binario. Ed è il fascino estremo di Bulzatti perché il suo straniarsi è qui. Pittura della distanza e pittura della fissità, pittura che guarda all’antico e pittura che ancora nessuno ha mai fatto. Vuota di vento, in cui non circola nessuna aria che non sia la manifestazione di ciò che si vede come qualcosa di finora nascosto. Figure tolte da un tempo antico, scavate come dolmen incerati dal battere delle onde e della luna. E’ proprio questo il senso di un quadro molto bello dipinto nel 1994, Donnna il! sottoveste. Restare come un baluardo, un cippo di confine; l’essere il silenzio e la sera, essere un colore continuamente dilatato, che risuona. Silenzio di un silenzio.

Marco Goldin