Veduta di insieme della mostra

La mostra di Aurelio Bulzatti alla Galleria d’Arte Contemporanea di Ciampino segna un momento cruciale per la carriera dell’artista emiliano: un momento in cui si volge, come spesso accade nelle carriere importanti, uno sguardo all’indietro.Più di quaranta opere, realizzate tra il 1982 e il 2005, compongono un percorso critico elaborato e meditato a lungo dallo stesso artista, articolato sostanzialmente su tre temi: Figure, Nature morte, Paesaggi. Le tele scelte a rappresentare questi temi si snodano I ungo le pareti della Galleria con la grazia di un mosaico sapientemente costruito, un mosaico che racchiude più di vent’anni di lavoro e di riflessione su modelli figurativi centrali non solo nell’opera di Bulzatti, ma anche per la storia dell’arte in generale: la sostanziale coerenza della sua ricerca nobilita il linguaggio universale della pittura che ancora una volta si rivela strumento d’elezione per rendere visibili atmosfere percepite e immagini mentali. Il dato emergente dall’osservazione delle opere è la netta sensazione di trovarsi di fronte a un artista che nel corso degli anni non ha avuto timore di dare una forma riconoscibile ai propri pensieri, nonostante le tendenze delle arti visive procedessero verso frontiere lontane dal mondo della pittura figurativa, e di trasformare la realtà in un repertorio personale di immagini “pure”, quasi archetipiche, costruito secondo un modello elaborato già in età classica e giunto sino ai nostri giorni. È proprio il modello classico-tardoantico a rappresentare il fulcro sul quale l’opera pittorica di Bulzatti si è costruita nel tempo, sia per ragioni formali, sia per ragioni di significato profondo legato alla forma, col risultato di un’elaborazione iconografica relativa a un universo parallelo popolato di figure, oggetti e scenari che, progressivamente prosciugati da ogni dettaglio superfluo, diventano un alfabeto di immagini essenziali da ricombinare in un pantheon personale. In questo universo gli elementi come gli scenari urbani, ad esempio, sono articolati sul modulo ripetibile di un palazzo, unità contemporaneamente minima e massima della città, reso tale dalla semplice trasformazione di ciò che lo sguardo percepisce in un’idea universale. Le figure che abitano questi fondali estrapolati dal quotidiano, apparizioni improvvise e presenze inspiegabili, possiedono uno sguardo ieratico e sovraumano, vestite di abiti semplificati, idealizzate e assorte. Bulzatti ha indagato tutto questo con lo spirito di un analista professionista, riproponendo spesso la medesima figura o situazione, sempre nell’intento di creare un transfert in cui l’opera assume le caratteristiche di una superficie riflettente e l’osservatore gioca il ruolo di chi riconosce una parte dei propri fantasmi nei personaggi che appaiono con la forza di una visione. Il ruolo di queste “apparizioni” non è mai chiaro nel contesto del racconto del quadro, a patto che un racconto possa essere ravvisabile: gli interni, così come gli esterni sono descritti con l’impenetrabilità che riporta a una logica dell’enigma, quasi si tratti di un rebus del quale solo l’autore sembra possedere la chiave interpretativa. Una considerazione a parte va fatta proprio sulle figure, che questa mostra elegge a protagoniste di tutta la sua produzione artistica: la scelta di una postura quasi sempre frontale e misurata è la conseguenza della percezione che Bulzatti ha dell’umano: un essere incorrotto e’ lontano dall’agitazione, non catturato dal daimon del gesto rapido e violento, un essere sostanzialmente divinizzato. Non pochi dettagli accomunano queste figure similangeliche alla serena compostezza delle statue classiche: il contenimento dei gesti, l’assenza di tratti fisiognomici o di segni di passioni dell’anima, corpi euritmici e proporzionati, privi di esasperazioni morfologiche o di ipertrofie, insomma simulacri di un’umanità reale quasi totalmente priva di pathos. Anche i gesti quotidiani assumono un carattere posturale universale, quasi che Bulzatti abbia trasmesso alle tele la lezione delle pitture parietali paleocristiane, conferendo ai suoi personaggi la dignità di un orante o di un pantocrator contemporanei. Fondante è infatti per Bulzatti la necessità di riconoscere nell’essere umano un tratto quasi sovrannaturale e di conferire alle creature della terra l’intoccabilità dell’immagine sacra, elemento questo desunto direttamente dalle forme classiche. Il processo di individuazione che lo ha portato a perseguire un tipo di rappresentazione universale è ancor più evidente nelle ultime opere, che trascendono l’ideale classico in una sorta di fissità tardoantica, pur resa ricca dal tessuto pittorico ricercato e complesso. ‘Non è un caso che un artista come Bulzatti operi in un momento storico caratterizzato dalla compresenza di culture, religioni e differenti etnie che tentano una possibile convivenza: le sue opere riflettono pienamente le problematiche contemporanee della multietnicità in uno stile che, a ben guardare, ripropone categorie estetiche della prima cristianità come quelle della claritas, ad esempio. Le opere recenti si distinguono infatti per una graduale ma decisa inclinazione verso i toni più accesi, verso notturni metafisici rischiarati da una brillante luce I lunare che le rende ancor più dense di magia. La natura profondamente speculativa di questo artista si riflette inoltre nella scelta degli ultimi temi, tratti direttamente dalla realtà più cruda che le città europee stanno vivendo da qualche tempo a questa parte: l’immigrazione e gli squilibri sociali che ne derivano. Bulzatti riesce sapientemente a nobilitare anche il soggetto più “basso”: il gesto di una zingarella che fruga tra i rifiuti assume le caratteristiche di un elegante movenza, quasi di una figura danzante, mentre la giovane coppia di immigrati conserva nella postura frontale e nella brillantezza dei toni la carica estetica del colore e delle forme di un’icona bizantina. Nel grande pezzo inedito che mostra una coppia di orientali sullo sfondo di una metropoli illuminata al neon convergono in una sintesi mirabile una serie di elementi che riassumono il senso antico della bellezza: la veste verde della figura femminile, l’azzurro petrolio del cielo di sfondo, l’austerità della posa e la serenità degli sguardi. 

Si può ragionevolmente prevedere che Bulzatti procederà verso un’ulteriore applicazione del suo sguardo ormai consolidato, soprattutto alla luce della particolare attitudine a recepire la lezione del passato come vivificante per qualsiasi tema rappresentativo. Non meravigliano in questo senso incursioni nella direzione di argomenti anche troppo vicini al degrado della realtà, poiché gli strumenti adoperati per la trasformazione dell’immagine reale nell’immagine ideale sono sempre gli stessi, e sono proprio quelli che danno forza e originalità alla pittura di Aurelio Bulzatti. 

Tiziana D’Achille