“Casa La Vita” è un glorioso titolo di Alberto Savinio che m’è tornato in mente quando, svoltando un angolo della fantasia, mi sono imbattuto nei caseggiati di Aurelio Bulzatti; e mentre tentavo di orientarmi, tanto per stare in famiglia, ho suubito pensato alle piazze di De Chirico; ma anche alle periferie di Sironi, alle luci notturne di Hopper. E tuttavia tali riferimenti, ai quali si sarebbero sovrapposti dopo reiterate contemplazioni l’icasticità oggettuale di tanta pittura italiana dal Riinascimento a Morandi, li avvertii insufficienti e pedanteschi. Quello in cui mi aggiravo era un rione finora sconosciuto, il Quartiere Bulzatti con i suoi edifici spettrali, le finestre e le porte squadrate, le illuminazioni malinconiche; e perrmeato di un sentimento del vuoto che sembra gridare la nostalgia di una pienezzza esistenziale forse annidata e implosa oltre i muri. Sicché andando avanti (la pittura di Aurelio l’ho presa in corsa, sull’ operosità degli ultimi mesi: ignoravo il “prima” che ora riscontro in riproduzione negli interni, nei personaggi, nelle nature morte) non mi sono affatto stupito di scopriire una figura di donna in silenzioso colloquio con il contesto urbano al quale dà e dal quale prende risalto; e infine una coppia, gli eterni e inevitabili lui e lei, immpegnati a confrontarsi, a raccontarsi e magari a mentirsi, a frugarsi reciprocamente nell’ ansia di imparare l’uno dall’altro il senso e il rischio di una lezione d’amore.
La premessa è molto semplice: la serena disponibilità di un giovane artista, dopo decenni di complicazioni intellettualistiche e negazioni paralizzanti, a fare i conti in pittura con il mondo che lo circonda, con i problemi d’ogni giorno, i moti dell’ anima, l’insidia delle psicosi. Il tutto già destinato all’erigendo museo del XX secolo; e affermandolo non intendo introdurre un prematuro giudizio di valore né contrabbandare un viatico alla posterità. Dico soltanto che sul piano anntropologico l’uomo e la donna, la camera in cui si abbracciano, l’appartamento in cui avviene l’incontro, l’edificio che lo contiene, la strada che allinea la casa accanto ad altre uguali rappresentano una trancia di quella che Saba chiamava “la calda viita’. I nonni di questo surreale suburbio, che possiamo immaginare seduti ciascuno davanti al proprio portone a prendere il fresco, sono i grandi neo realisti dell’ altro ieri, De Sica e Zavattini, Moravia, Germi, Pratolini: e se vogliamo continuare il gioco dei titoli, “Cronache di poveri amanti” ben si adatterebbe alla sequenza degli incontri nutriti di passione e perplessità ai quali Aurelio Bulzatti voyeurista complice, affettuoso e stoico ci invita ad assistere dietro la facciata.
Tullio Kezich